È ormai costume diffuso quello
di scrivere un po’ tutto ciò che ci passa per la testa sui vari social network
a cui siamo iscritti e ai quali dedichiamo molto tempo delle nostre giornate.
È altrettanto comune il senso
di assoluta libertà di espressione che viene percepito dagli utenti dei social,
i quali assai spesso si permettono determinate esternazioni che per strada si
guarderebbero bene dal fare.
Attenzione, però, che lo
spazio che ci ritagliamo in internet (anche dietro nickname che solo
apparentemente celano la nostra vera identità) non è uno spazio irreale e
parallelo alla vita di tutti i giorni, per cui siamo sempre chiamati ad
assumerci la responsabilità di ciò che digitiamo sulle nostre tastiere e
pubblichiamo online.
Offendere la reputazione di
una persona tramite social network costituisce reato, così come quando lo si fa
nel mondo non “virtuale”, anzi, il reato di diffamazione tramite social network
costituisce un’ipotesi aggravata, perché lo strumento che consente di divulgare
online il nostro pensiero ha tutte le potenzialità di raggiungere un numero
incalcolabile di utenti che possono leggere ciò che scriviamo, il che rende le
conseguenze penali delle nostre affermazioni ben più gravi.
COSA PREVEDE LA LEGGE:
L’art. 595 del Codice Penale testualmente
dispone: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente,
comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la
reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l'offesa consiste
nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a
due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa è recata col mezzo
della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico,
la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a
euro 516.
Se l'offesa è recata a un
Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad
una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
UNA RECENTE SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE:
La quinta Sezione Penale della
Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8328 del 1° marzo 2016, ha affermato
(ribadendo quanto già detto in precedenti pronunce succedutesi nel tempo sin
dall’anno 2000) che “La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook
realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo
utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone,
comunque, apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo
tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica
descritta dall'art. 595 c.p., comma 3”. In altri termini: denigrare la
reputazione di qualcuno tramite Facebook (o altro social network) integra il
reato di diffamazione nella forma aggravata, con applicazione della pena della reclusione
da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a € 516,00, analogamente a
quanto avviene per la diffamazione a mezzo stampa o con atto pubblico o con
qualsiasi strumento di pubblicità. Non si trascuri, inoltre, il fatto che,
oltre all’applicazione delle pene suddette, l’autore del reato di diffamazione
è esposto anche all’obbligo di risarcimento del danno morale subito dalla
vittima.